Recensione di His Three Daughters: Il capolavoro di Jacobs che racchiude cinquant’anni di dramma alleniano ma senza anima

Recensione di His Three Daughters: Il capolavoro di Jacobs che racchiude cinquant’anni di dramma alleniano ma senza anima

Il film His Three Daughters si distacca dal consueto modello cinematografico, creando un’alternativa intrigante. Il regista Azazel Jacobs, proveniente da Manhattan, ha dedicato un notevole impegno nella realizzazione di quest’opera, ispirata al “dramma di camera” newyorkese, genere reso popolare da Woody Allen, che rielabora elementi bergmaniani, riflettendo le dinamiche delle élite intellettuali newyorchesi. La pellicola si ambienta quasi completamente in un contesto di eleganti loft di New York, dove il dialogo incisivo e gli spazi angusti contribuiscono a una sensazione di analisi collettiva.

prospettive narrative e tematiche

His Three Daughters cerca intensamente di inserirsi in una tradizione cinematografica ben consolidata. Si avverte una mancanza di innovazione, poiché la premessa si presenta come eccessivamente programmatica: le tre figlie, isolate nel contesto della malattia imminente del padre, devono confrontarsi con tensioni e risentimenti latenti. La ripetitività di queste dinamiche familiari solleva interrogativi su cosa possa realmente evolversi da un arco narrativo già esplorato.

caratterizzazione dei personaggi

Le sorelle presentano tratti distintivi, ma i loro ritratti risultano talvolta didascalici. Carrie Coon incarna l’anaffettiva “control freak”, mentre Elizabeth Olsen interpreta una madre nevrotica che si cela dietro un’apparente perfezione. Natasha Lyonne, d’altro canto, rappresenta la figura più equilibrata, seppur con un aspetto trasandato. Le personalità costruite mirano a delineare una famiglia fratturata, con ciascuno dei personaggi dotato di imperfezioni, ma l’assenza di sviluppo autentico rende difficile la loro credibilità.

interpreti e le performance

Le prove attoriali, pur essendo di alta qualità, non riescono a vivificare il contesto narrativo. Quando Coon adotta un tono monocorde o Olsen esplode in una reazione drammatica, si percepisce una mancanza di spontaneità che riduce l’impatto emotivo. Piuttosto che rendere vive delle figure reali, sembra di assistere a un’esecuzione di una lezione prestabilita, sottolineando una certa pesantezza nel dialogo e nelle interazioni.

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Scritto da Augusto Clerici
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