Donatella Rettore ha recentemente condiviso le sue opinioni in un’intervista con Gay.it, esprimendo punti di vista controversi riguardo alla comunità LGBT. Alcuni dei suoi commenti hanno sollevato critiche, in particolare quando ha giustificato l’uso di termini come F-Word e N-Word, sostenendo che “non ci si ammazza per una parola”. Quest’affermazione ha destato perplessità, poiché si potrebbe considerare che non abbia mai sperimentato il timore di trovarsi in situazioni minacciose legate a tali espressioni.
La difesa delle parole e il bullismo
Quando le è stato ricordato che la libertà di usare parole offensive può avere conseguenze gravi, Rettore ha risposto: “I ragazzini non credo si tolgano la vita solo per una parola. Il ragazzo dai pantaloni rosa? Quello si chiama bullismo”. La sua posizione mette in discussione la responsabilità del linguaggio e le sue implicazioni nel contesto del bullismo, differenziando tra il potere delle parole e le circostanze più ampie che provocano sofferenza.
Le distinzioni tra gay e checche
Rettore ha precisato la sua idea sulla rappresentanza all’interno della comunità: “Faccio un distinguo chiarissimo tra loro e quelle persone che ‘Lasciami stare perché io sono gay’”. Ha evidenziato la necessità di un approccio più serio per far comprendere la causa LGBTQ+ a una società percepita come bigotta, rifiutando le manifestazioni che considera dannose per l’immagine della comunità.
Il supporto ai Pride
Nonostante le critiche, Donatella Rettore ha affermato di sostenere i Pride, evidenziando il suo lungo impegno in queste manifestazioni. “Io sono stata una delle prime a cantare ai Pride, sarà 30 anni che li faccio!”, ha dichiarato, sottolineando che ai Pride partecipano anche le famiglie, contribuendo a rendere tali eventi significativi e inclusivi.
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